L’attesa il nostro sport.

A tutti quelli che… “protagonista è lo sport”: fermate quelle dita sulla vostra tastiera.

Protagonista è l’attesa.

Nella Bartali di Paolo Conte il personaggio resta sul paracarro fino a notte fonda, rinuncia al cinema e alla donna, Bartali non arriva ma lui ci conta. Attesa.

Nel mio pezzo, sul più bello, gli squilla lo smartphone e chissà perché, gli tocca andarsene, gira sui tacchi e si lascia tutto alle spalle.

I corridori arrivano e lui se li perde, nonostante l’attesa e tutte le premesse. Volendo vederla in positivo? A suo modo si è fatto un giro e ha visto tutto un mondo intorno.

Nel pezzo di Conte gli accordi sono infiniti; nel mio gli accordi sono due (ruote) in loop per otto minuti (infiniti). Il flusso cresce, monta e si svuota come niente. Attesa e poi? Attesa.

Allegoria?

Sì, se mi è permesso il turpiloquio di un termine che tuttavia esiste ancora e per me significa qualcosa. Allegoria della mia personale visione dell’Italia contemporanea.

Immobilismo cronico a fronte di un ribollìo costante, un inconcludente girare a vuoto. Pura apparenza, miraggio senza fine. E noi fermi alla rotonda, a girarci intorno, in attesa delle prossime occasioni da sprecare, con quelli che cercano di spacciarci almeno qualche calzino modaiolo.

Magari è per questo che il tizio se ne va. Speriamo avesse qualcosa (qualsiasi) di concreto da fare e che almeno – sovversivamente – si impegnasse a farlo bene.

Tutto il Giro minuto per minuto.

Il Giro è una canzone-racconto di 8 minuti, un cortometraggio per occhi chiusi che parla del passaggio del Giro d’Italia da una anonima rotonda del traffico alla periferia di Alessandria. L’occasione (reale) fu quella del 17 maggio 2013, tredicesima tappa (Busseto–Cherasco).

Il racconto stesso ha la forma della rotonda, è circolare come la canzone che può essere riprodotta all’infinito in loop, senza interruzione di suono. Otto minuti di infinito, due zeri che si intrecciano, come le occasioni mancate, come le due ruote, come i due zeri del centesimo Giro d’Italia che, guarda caso, si correva quest’anno.

La sceneggiatura è tutta nel testo. L’accumulazione di suoni corrisponde al crescente affollarsi di personaggi. Un trasandato svincolo periferico diventa il centro del mondo e sembra che tutto stia per succedere lì.

La doppia circolarità si rispecchia anche nel percorso del protagonista, dai palazzi alla rotonda e ritorno, senza poi aver visto niente della gara, se non il mondo che ci gravita intorno.

La storia minima di un’occasione mancata: il protagonista, richiamato chissà a che cosa dal telefono, volta le spalle alla corsa e perde per sempre il passaggio del Giro.

Vera protagonista è l’attesa, nella circolarità fluida del traffico dell’esistenza, senza soluzione di continuità apparente, che si risolve poi in un nulla di fatto.

Un’istantanea di 8 minuti. L’effetto di un miraggio all’orizzonte (questa l’accezione del termine fata-morgana qui e ovunque altrove nei miei testi) dove sembra sempre di intravedere qualcosa; un variopinto deserto dei Tartari in svendita; un palcoscenico pieno degli schiamazzi di un folle, che significa niente, nel monologo di un Re Lear in tuta da ciclista.

Con la pedalata rotonda dei campioni, dei passisti o dei dilettanti della domenica, si assottiglia la clessidra e ci si lascia tutto alle spalle.

La “Bartali” di un altro astigiano. Anche lì il protagonista era l’attesa. In quella di Paolo Conte i corridori non arrivano: tutta l’attesa però si consumava a tempo di marcetta allegra, come l’Italia di allora.

Com’è l’Italia ritratta oggi al suo centesimo Giro? Una giostrina di occasioni sprecate, inconcludente e protesa al ribasso, schiamazzante come sempre, nella sostanza immobile.

Proprio come il corridore dell’illustrazione di Davide Toffolo, tutto preso (perso) nell’emozionante cecità del suo visore.

Toffolo_Succi_Giro_(low)

Se nella mia versione di “Bartali” in “Lampi Per Macachi” (ascoltala su Spotify) liquefacevo il tempo riducendolo ad un distillato di attesa in tre accordi, qui (ne “Il Giro”) il tempo pulsa dritto e gli accordi sono due: due zeri, due ruote…

E anche questo post potrebbe essere infinito: salviamo spazio, rileggi dall’inizio.

[Foto di: Giulia Gatti]